Il racconto che segue nasce come storia per ragazzi per poi trasformarsi in qualcosa di assolutamente non adatto a tale pubblico.
Se inizialmente sembrerà noioso ed infantile sappiate che peggiorerà strada facendo. Ringrazio coloro che arriveranno fino alla fine della storiella.
Nel 1977 P. Carrot aveva solo 4 anni ma era già in grado di parlare correttamente, di scrivere e di contare fino ad un milione.
Un bambino prodigio, così lo definirono le maestre della scuola elementare quando a soli 7 anni sostenne l’esame della quinta classe per passare direttamente alle scuole medie.
A 9 anni era il primo della classe al liceo, dove si diplomò appena 13enne.
Suo padre, W. Carrot, era un rinomato medico ed era più che mai convinto che l’intelletto illimitato del giovane figlio fosse merito del suo patrimonio genetico, mentre A. Carrot, la sua primogenita, aveva ereditato tutto dalla madre: una rara bellezza ma un cervello appena funzionante.
Grandi erano le speranze che W. Carrot riponeva nel futuro del suo piccolo e prodigioso figlioletto; avrebbe certamente frequentato la facoltà di medicina come lui, si sarebbe laureato giusto in tempo per la maggiore età ed il nome della famiglia Carrot sarebbe stata sulla bocca di tutti grazie a P. Carrot il più giovane medico della storia.
Grazie ad uno speciale programma formativo, fortemente voluto dal ministero della pubblica istruzione, tutti i bambini dai 7 anni in su erano invitati a portare avanti una regolare corrispondenza con bambini stranieri i cui paesi appoggiassero la stessa linea di istruzione.
P. Carrot aveva scelto 2 nomi dalla lunga lista messa a disposizione degli studenti e da ormai 5 anni continuava a scrivere settimanalmente ai suoi amici di penna, entrambi rigorosamente più grandi di lui.
La maggior parte dei bambini della sua età aveva abbandonato quella corrispondenza forzata già alla fine dell’anno scolastico, vedendola più come un compito di scuola che come un’occasione per fare nuove amicizie, mentre per P. Carrot era diventato un vero e proprio appuntamento settimanale.
Jeremy Christel, detto Jolly, aveva 4 anni più di lui ed era di Washington, amava lo skateboard e i film di Steven Spielberg.
Jeremy continuava ad esaltarsi per E.T., un film da poco uscito nelle sale cinematografiche di tutto il mondo che aveva riscosso un enorme successo. Incuriosito dal continuo parlarne dell’amico, P. Carrot si decise a vedere con i suoi occhi le meravigliose scene descritte da Jeremy con tanto fervore e convinse sua madre a noleggiare la videocassetta.
Rimase seduto in silenzio fino alla fine del film, che tutta la famiglia gustò nel salotto di casa Carrot un mercoledì sera.
“Carino, davvero piacevole.” commentò Mary , sua madre.
“Stupendo! Mai visto nulla del genere, è già il mio film preferito!” fu la reazione di A. Carrot, che sicuramente era l’anima gemella di Jeremy.
“Mah, un film per ragazzi, carino ma nulla di entusiasmante.” non si sbilanciò W. Carrot.
Come sempre ogni membro della famiglia esprimeva la sua opinione in merito al film o allo spettacolo di turno e P. Carrot non faceva eccezione, ma quella volta la sua vocina non si unì al coro e solo in quel momento tutti si accorsero che il piccolo non era più in salotto.
Senza dire una parola il più piccolo della famiglia era corso nella sua cameretta dove se ne stava seduto alla sua scrivania armato di carta e penna.
‘Caro Jeremy,
questa sera io e la mia famiglia abbiamo visionato E.T., dopo i tuoi continui elogi verso questo film ero davvero curioso a riguardo.
Spero mi perdonerai se mi permetto di dire che sono rimasto davvero deluso, mi aspettavo di vedere un capolavoro mentre ciò che ho costretto la mia famiglia a guardare altro non è che uno strano essere fisicamente sproporzionato il cui collo avrebbe dovuto spezzarsi al massimo entro 8 minuti dall’inizio del film.
Sono certo che nell’universo esistano altri esseri viventi e che quasi sicuramente non siano fisicamente uguali a noi, ma nella stereotipizzazione di un extra terrestre deforme che viene trasportato nel cestino di una bicicletta volante e che vuole telefonare a casa, lasciami dire che non trovo nulla di straordinario…’
Dopo questa lettera Jeremy non rispose a P. Carrot per quasi due mesi, ma il giovane ragazzo prodigio non demorse e continuò a scrivere all’amico lontano ogni settimana scusandosi ogni volta per essere stato troppo diretto nell’esprimere la sua opinione, fino a quando nella buca delle lettere non apparve una busta proveniente da Washington e tutto tornò alla normalità.
Oltre a Jeremy l’appuntamento settimanale di P. Carrot includeva Waljna, una giovane ragazza russa che già all’inizio della loro corrispondenza frequentava il liceo ma la differenza di età sembrava non essere un problema per lei che più volte definì P. Carrot molto più maturo di certi suoi compagni di classe.
Lei raccontava ogni cosa al piccolo Carrot, le piaceva considerarlo come una sorta di diario senziente perché le era abbastanza vicino per risponderle ma abbastanza lontano per non potere parlare con nessuno delle sue cose più personali, insomma era l’amico perfetto.
Un paio di anni dopo l’inizio della loro amicizia, le cose iniziarono a diventare strane; lei, ormai sedicenne, gli raccontava di quanto il suo ragazzo Vladimir la facesse soffrire, di come lui la usasse per poi trattarla come un’estranea.
Ciò che P. Carrot si ritrovò a leggere furono resoconti dettagliati della vita sessuale di una sedicenne ma dall’alto dei suoi 10 anni e nonostante la sua intelligenza senza precedenti, quelle cose non avevano alcun senso per lui.
Aveva cercato di elaborare una sua teoria dopo avere consultato l’enciclopedia medica del padre, ma ciò che non aveva trovato da nessuna parte era la spiegazione pratica di cosa fosse un pompino. L’unica cosa che era riuscito a capire a riguardo era che provocava escoriazioni alle ginocchia, almeno secondo quanto riportato nelle lettere di Waljna, quindi era probabile si trattasse di una qualche malattia a trasmissione sessuale con gravi conseguenze in parti del corpo che nulla sembravano avere a che fare con il sesso.
A lasciarlo perplesso era stata la frase “come tutti gli uomini” che Waljna utilizzava spesso nei suoi racconti, ma che in questo caso lasciava supporre come lui stesso, in quanto uomo, dovesse essere portatore della malattia.
Per capire meglio la situazione decise di dare un’occhiata alle ginocchia delle donne di casa Carrot partendo da quelle di sua madre che fortunatamente si rivelarono prive di escoriazioni di qualunque genere, ma non poté non notare alcune cicatrici ancora visibili tra le pieghe delle ossute ginocchia materne.
Diversa la situazione per quanto riguardava le giunture di sua sorella che dal canto suo mostrava evidenti scorticature in entrambe le ginocchia.
Questo lo fece riflettere ed elaborò due diverse teoria a riguardo.
La prima sottolineava un evidente errore nell’utilizzo della frase “come tutti gli uomini” che doveva essere corretta in “come alcuni uomini” essendo evidente che suo padre non aveva trasmesso la suddetta malattia alla mamma.
La seconda teoria, supportata tra l’altro dalle cicatrici riscontrate sulle ginocchia della signora Carrot, elaborava l’ipotesi che la malattia colpisse le donne solo in giovane età, come sua sorella e Waljna, tendendo a scomparire spontaneamente con l’avanzate degli anni.
In entrambi i casi ciò che risultava evidente era la perduta innocenza di sua sorella, nonostante suo padre fosse più che mai convinto della santità della figlia.
Convinto che W. Carrot avrebbe apprezzato molto gli studi condotti in campo medico dal figlioletto e le conseguenti teorie elaborate, il piccolo Carrot decise di sottoporre al padre i risultati delle sue ricerche e per farlo scelse il momento da sempre dedicato alla conversazione familiare: la cena.
Seduto come al solito a sinistra del padre lasciò che sua sorella finisse di raccontare la sua tipica giornata da teenager timorata di Dio, tra durissime lezioni di latino e i compiti pomeridiani a casa della sua amica Carol.
“E tu ragazzo mio, cosa mi dici? Hai scoperto qualcosa di nuovo oggi?” gli chiese il padre con gli occhi pieni di amore e speranza, come ogni volta che posava lo sguardo su di lui.
“A dire il vero si papà oggi ho qualcosa di nuovo di cui vorrei parlarti. Sono diversi giorni che mi documento a riguardo ma solo oggi ho elaborato un’interessante teoria, anzi due e vorrei che tu mi dicessi cosa ne pensi.”
Con estrema soddisfazione W. Carrot annuì alla richiesta del piccolo.
“Ebbene papà, sono venuto a conoscenza di una malattia di cui sembra siano portatori esclusivamente gli uomini ma con gravi conseguenze per le donne con cui entrano in contatto. La mia amica Waljna me ne ha parlato e mi è parso di capire che la cosa la facesse soffrire parecchio non solo per le escoriazioni fisiche riportare sulle ginocchia ma anche a livello emotivo. Secondo Waljna ne sono portatori tutti gli uomini ma dalle mie ricerche non tutte le donne riportano suddette escoriazioni. La mamma ad esempio non le ha ma ho notato alcune cicatrici che si potrebbero ricondurre a vecchie escoriazioni, mentre le ginocchia di Allie sono completamente scorticate.”
Improvvisamente tutti smisero di mangiare e fissarono il piccolo genio di casa con sguardo allibito, in particolare A. Carrot che aveva iniziato a sudare ed era tutta rossa in viso, forse un improvviso attacco di febbre da aggiungere ai sintomi della malattia.
“Cosa stai cercando di dire tesoro?” chiese un po’ titubante mamma Carrot.
“Quello che mi pare ovvio è che esistano due spiegazioni a riguardo. Potrebbero esserci solo alcuni uomini portatori della malattia e non tutti come dice Waljna! Quindi tu papà sei sano mentre il ragazzo di Allie a quanto pare no. La seconda ipotesi è che tutti gli uomini ne siano effettivamente portatori ma solo le donne in giovane età ne manifestino i sintomi, questo spiegherebbe perché Allie ne è stata colpita mentre la mamma mostra solo i segni di un precedente contagio avvenuto quando era molto giovane.”
Pensò di avere impressionato parecchio tutti perché nessuno parlava ma erano letteralmente rimasti a bocca aperta.
Finalmente W. Carrot trovò la forza di dire qualcosa interrompendo l’imbarazzante silenzio che si era creato.
“Ti sbagli figliolo, non esiste nessuna malattia, non so cosa ti abbiano detto ma questi non sono argomenti per bambini della tua età.”
“No papà, esiste eccome, me lo ha detto Waljna, si chiama pompino!”
Quella sera W. Carrot passò quasi un’ora nel tentativo disperato di spiegare al figlioletto cosa effettivamente fosse un pompino, tra giri di parole carichi di imbarazzo e il divieto assoluto di portare avanti qualunque rapporto con Waljna.
Al termine dell’illuminante conversazione tenuta con il padre, P. Carrot si ritirò nella sua cameretta e per prima cosa trasgredì all’ordine appena ricevuto di troncare la sua relazione epistolare con la sua giovane amica russa.
‘Cara Waljna,
quest’oggi a causa di un’errata diagnosi medica da me espressa mi ritrovo a doverti chiedere di non utilizzare più il tuo nome per scrivermi.
Ti prego di scrivere sotto il nome di Dimitri, credo sia l’unico modo per portare avanti il nostro rapporto epistolare.
Vorrei concludere esprimendoti una mia personale opinione riguardo alla tua ultima lettera: credo che esistano diverse soluzioni al tuo problema, come ad esempio il semplice utilizzo di un cuscino da posizionare sotto alle ginocchia.
Penso comunque che l’unica soluzione davvero efficace sia contro le escoriazioni fisiche sia per quanto riguarda le ferite emotive sia che tu ti astenga dal praticare tali pompini al tuo ragazzo, potreste optare per qualcosa di più divertente come guardare un film insieme, ma lasciate perdere E.T., potrebbe procurarti ferite emotive ancora più gravi.’